La questione dei piccoli comuni e la riorganizzazione amministrativo-istituzionale del territorio regionale
La Basilicata è l’esemplificazione della “questione piccoli comuni”, 97 delle 131 Comunità locali hanno una dimensione demografica c.d. minore, ovvero, una popolazione residente inferiore a 5000 unità.
I piccoli comuni sono una risorsa strategica per la Regione. Amministrano servizi che hanno a che fare con essenziali diritti civili e sociali di migliaia di donne e di uomini, determinandone ampiamente le condizioni di vita. Governano la maggior parte del territorio regionale, le sue parti ambientalmente e paesaggisticamente più preziose e, insieme, più fragili, più soggette a rischio di abbandono, di sfregio, di calamità.
Sono attori protagonisti e motori delle politiche di sviluppo locale dalle quali dipende non solo la sorte di questa grande parte del territorio regionale, ma la stessa capacità della Basilicata di riguadagnare competitività e capacità di crescere.
Costituiscono, ancora, una componente essenziale e strategica dell’assetto istituzionale di quella repubblica delle Autonomie che il legislatore nazionale, costituente e ordinario, e quello regionale sono impegnati da anni a disegnare.
Sono titolari originari in un quadro di pari dignità costituzionale con altri enti, di tutte le funzioni amministrative, custodiscono un ampio e straordinario patrimonio di identità e culture, un inestimabile lascito storico, urbanistico, architettonico.
Rappresentano spesso l’unica soggettività in grado di conservare, recuperare, valorizzare elementi di tipicità, dall’agroalimentare, all’ambiente, alle culture materiali sono una ricchezza straordinaria della Basilicata e dell’Italia intera.
Da questo quadro emerge con evidenza come sul destino dei piccoli comuni si giochi una straordinaria partita che reca con sé, da un lato, se si sbaglieranno le politiche, una prospettiva di penalizzazione e di emarginazione dallo sviluppo e dall’esercizio dei diritti civili e sociali di una parte grande della Regione, con conseguenze pesanti sul suo assetto generale, oppure dall’altro lato, una grande opportunità capace di mettere in campo risorse ed energie importanti ed essenziali, non solo per i territori compresi nei piccoli comuni ma per l’intera Regione.
Condizione essenziale è, che dell’importanza di questa risorsa vi sia piena consapevolezza, consequenzialità e coerenza di comportamento da parte di tutti gli attori istituzionali del paese.
In verità negli ultimi anni a partire dai media sino ad autorevoli prese di posizione del Presidente della Repubblica, è venuto continuamente e progressivamente manifestandosi un vastissimo consenso attorno alla consapevolezza del ruolo che i piccoli comuni hanno e devono avere.
Purtroppo nell’ultimo periodo dobbiamo registrare politiche nazionali economico e finanziarie di tagli e restrizioni nel trasferimento di risorse ai comuni di minore dimensioni demografica.
Colpiti, oltre che dal taglio generale di trasferimenti correnti anche dalla decurtazione di provvedimenti specifici a sostegno degli investimenti.
In concreto negl’anni si è inciso pesantemente sui bilanci che, data la dimensione dei flussi finanziari e l’ampiezza delle funzioni e dei servizi alle quali comunque far fronte presentano caratteri di forte rigidità.
I risultati di tale congiuntura negativa sono facilmente desumibili: un colpo insieme alla quantità e qualità di servizi erogati ai cittadini, il rinvio di interventi ordinari e straordinari di manutenzione del territorio, delle urbanizzazioni, del patrimonio pubblico, una secca contrazione degli investimenti come testimoniano i dati della Cassa Depositi e Prestiti.
Fin qui le responsabilità e le scelte del Governo nazionale! Ma la “questione dei piccoli comuni” impone, prioritariamente, l’assunzione di forti responsabilità riformatrici a livello locale, la classe politico/amministrativa di questa Regione non può più rinviare i temi della riorganizzazione scolastica e dei trasporti, della riorganizzazione del servizio socio-sanitario, ne eludere il tema delle gestioni associate di funzioni e servizi comunali.
Sono temi improcrastinabili, occorre immediatamente avviare una campagna di sensibilizzazione generale, indirizzata all’opinione pubblica, ma soprattutto al corpo burocratico e al ceto politico locale .
E’ anacronistico, oltre che dispendioso e scarsamente efficace, la consuetudine che ogni piccola realtà comunale continui a gestirsi in splendida solitudine i servizi anagrafici e del personale, i servizi urbanistici o le funzioni di Polizia municipale, (oltre 50 Comuni hanno in organico un solo vigile, con l’aggravante che qualora questi dovesse ammalarsi le funzioni non potrebbero essere esercitate), purtuttavia tale “modus operandi” costituisce la regola in Basilicata.
L’unione, i consorzi, l’associazionismo intercomunale sono, in questa Regione, ordinariamente interpretati e vissuti dal personale amministrativo e da quello politico locale come invasione di campo, come limitazione di potere, mentre nel resto d’Italia si sperimentano con successo forme di Gestioni associate di funzioni e servizi sorte per libera e volontaria adesione delle singole realtà comunali
I piccoli comuni dovranno inderogabilmente adeguarsi al sistema dei trasferimenti di competenze, alle gestioni di servizi e funzioni facendolo insieme, in modo da garantirsi quel bacino di utenza e quella consistenza demografica tale da poter essere in grado di rendere servizi adeguati ai cittadini amministrati. Associazionismo intercomunale significa, appunto, qualificazione dei servizi offerti e razionalizzazione dei costi di gestione, aspetto, quest’ultimo, tutt’altro che secondario nel contingente contesto economico.
L’ente Regionale, in verità, negl’anni scorsi ha promosso attraverso il fondo di Coesione una sperimentazione di Gestioni associate di servizi e funzioni a livello intercomunale, ma le proposte aggregative dei comuni si sono dimostrate timide e scarsamente convincenti, incapaci, cioè di innescare anche sul nostro territorio un virtuoso processo di riorganizzazione amministrativa .
Infatti, i molti comuni che hanno aderito al bando, hanno formulato e condiviso principalmente proposte di gestione associata in settori e funzioni assolutamente scoperti ( gestione del catasto, canili comprensoriali ecc.) o avviato e bruscamente interrotto processi di gestione associata dei servizi e delle funzioni storicamente ed esclusivamente assicurate sui propri territori (Polizia Municipale, personale, contabilità ecc.), onde mantenere in vita equilibri e spazi di potere consolidati.
Occorre quindi affrontare in modo sistemico la questione delle Gestioni associate:
- in primo luogo è necessario, sulla scia di virtuose esperienze consumate in altri contesti territoriali, avviare una forte campagna di sensibilizzazione sulle ragioni e l’importanza dell’associazionismo intercomunale, con l’obbiettivo di superare incrostazioni e ritrosie culturali che impediscono la realizzazione di processi di riorganizzazione e modernizzazione della macchina amministrativa locale, a vantaggio di strenue difese di antichi spazi di potere (o ricatto…) ;
- approvare una legge Regionale sulle Gestioni associate per promuovere, diffondere e consolidare (assicurando risorse finanziarie pluriennali) forme di aggregazione per la gestione di funzioni ed attività nei piccoli comuni, garantendo attraverso economia di scala, la sostenibilità e la qualificazione anche dei servizi più complessi.
Non basta, come pure meritoriamente la regione e il Dipartimento enti locali hanno fatto, incrementare il fondo di coesione per l’annualità in corso a 4,2M euro, destinando una parte consistente delle risorse alla promozione delle “gestioni associate”, e indispensabile incardinare queste iniziative in una strategia di medio-lungo periodo su una base normativa certa che incentivi e favorisca l’adesione volontaria dei comuni. Fondamentale per il buon esito del processo che si intende innescare è l’adesione volontaria dei singoli comuni al bacino gestionale.
Ogni eventuale precostituzione “dall’alto” di ambiti e/o raggruppamenti comunali vanificherebbe il successo della riorganizzazione ipotizzata (come testimoniato dalla sperimentazione in Basilicata degli ambiti socio-assistenziali). - riqualificazione e riordino territoriale delle Comunità Montane.
Da molti anni periodicamente il dibattito politico si concentra su ruolo degli enti montani, attualmente indefinito e/o inutile, e sulla riduzione del numero degli stessi.
Discussione che non è mai approdata ad alcuna conclusione.
Bene, le Gestioni associate di servizi e attività comunali troverebbero senza dubbio un contenitore naturale nelle Comunità Montane, le quali al loro interno potrebbero strutturare dei sottobacini funzionali, costituiti per adesione volontaria dei singoli comuni, oltre che per affinità e contiguità territoriali. Ambiti, questi ultimi entro i quali potrebbero organizzarsi le Gestioni associate, senza ricorrere alla istituzione delle unioni di comuni, largamente diffuse nel resto del paese.
La riduzione del numero degli enti montani, e dei relativi costi istituzionali, a quel punto sarebbe automatica e condivisa.
Ma l’affermazione dell’associazionismo intercomunale non risolve di per sè la problematica del disagio insediativo della qualità della vita dei residenti, e dello sviluppo economico delle micro-realtà territoriali.
Occorre una politica regionale orientata su tre direttrici fondamentali:
- Sostegno delle politiche tese a rimuovere o attenuare il disagio insediativo, tanto nella sua accezione territoriale, quanto in quella produttiva;
- Sostegno alla capacità organizzativa dei piccoli Municipi attraverso l’incentivazione dell’associazionismo intercomunale;
- Elaborazione di strumenti efficaci per lo sviluppo territoriale, partendo dalle comunità locali ma guardando alla strategia generale ed agli indirizzi di programmazione regionale, nazionale ed europea.
È evidente come il perseguimento di questi obiettivi debbano racchiudersi in una legge regionale che, raccogliendo gli indirizzi ed i principi generali della legge che ha ripreso il suo cammino parlamentare, possa indicare un percorso e soluzioni originale ai quesiti posti ed alla richiesta di aiuto di una consistente porzione di territorio, oltre che alle istanze di migliaia di uomini e donne che hanno deciso eroicamente di non mollare e continuare a vivere e far vivere una storia ed un patrimonio millenario, i nostri 97 gioielli che consentono a questo territorio di essere una regione.
A sostegno delle politiche tese a rimuovere lo spettro dello spopolamento è per esempio necessario prevedere incentivi a favore dei cittadini residenti e delle imprese di nuova localizzazione, oltre che a quelle già insediate che vanno curate, preservate affinchè possano competere al meglio e non soccombere nella sfida globale. In questa ottica a favore dei cittadini possono prevedersi esenzioni totali dal pagamento dell’ICI sulla prima casa in favore di coloro che stabiliscono la propria residenza in un Piccolo Comune, ovvero l’azzeramento di TOSAP/COSAP per le nuove richieste di occupazione di spazi e aree pubbliche. Va da sè che il mancato gettito fiscale non potrà ricadere sui bilanci comunali, per cui dovrebbe essere la Regione a compensare il mancato introito con un intervento diretto attraverso risorse proprie, istituendo:
- Un fondo a compensazione del gettito fiscale TOSAP/COSAP per le nuove richieste di occupazione di spazi ed aree pubbliche;
- Un fondo a copertura della detrazione ICI prima casa nei limiti previsti dalla legge;
- Un fondo per la compensazione del passaggio dalla TARSU alla tariffa.
Ed ancora potrebbero prevedersi incentivi per l’uso dei mezzi pubblici da parte dei pendolari lavoratori o studenti fuori sede, mediante un rimborso da definire sull’abbonamento mensile o sul costo del biglietto.
Ovvero prevedere agevolazioni fiscali inerenti l’addizionale regionale all’imposta di consumo del gas metano e dell’imposta sostitutiva dell’addizionale medesima estese alle zone climatiche svantaggiate ricadenti nei territori dei piccoli comuni.
Per quanto attiene le attività produttive sarebbe interessante prevedere per le imprese di nuovo insediamento nei territori dei piccoli comuni: una riduzione dell’IRAP nella misura massima prevista dalla legge – cinque periodi di imposta – che potrebbero allungarsi, per imprese nuove promosse da giovani e donne, di altre tre annualità.
Non tutti i piccoli comuni vivono eguali condizioni di disagio e di marginalità; e per queste ragioni che tutte le forme di incentivo e compensazione debbano essere parametrate per fasce differenti di marginalità e disagio. Fasce determinate da valori oggettivi, da condizioni oggettive orografiche, economiche, demografiche e sociali.
La qualità della vita in un piccolo comune dipende soprattutto dalla qualità dei servizi generali offerti, il più delle volte servizi sottratti alla competenza o alla gestione comunale è così per i trasporti, per la scuola, la sanità. Servizi che attualmente risultano insoddisfacenti, fotografie del tempo che fu, inadeguati a sostenere la sfida della modernità. Per queste ragioni urge una riorganizzazione del sistema dei trasporti regionale, come di quello socio-sanitario e scolastico.
La riforma costituzionale del 2001 – il c.d. titolo V - deferisce le competenze in materia alle regioni, ci pare impossibile che le politiche di riorganizzazione in tutti questi settori non debbano avere un unico coordinamento. Pertanto la seconda proposta di questa assemblea è finalizzata alla istituzione di un assessorato ai piccoli comuni e alle politiche di coesione, ovvero di un dipartimento Enti Locali che non sia più protesi della Presidenza della Giunta. Non è soltanto il valore simbolico che ci suggestiona nel lanciare la proposta, è piuttosto la necessità di conferire centralità al tema delle politiche di coesione ed al rapporto fra autonomie locali. Nei prossimi giorni, incontrando come ANCI il Presidente De Filippo, ufficializzeremo la richiesta.
Oggi più di ieri, lo sviluppo economico locale richiede maggiore protagonismo alle singole municipalità. Protagonismo che, l’esperienza insegna, è direttamente proporzionale all’attivismo, alle conoscenze e alle capacità dei singoli amministratori locali. Lo sviluppo di un territorio, per quanto piccolo, non è distinto dagli indirizzi di programmazione regionale, nazionale ed europeo ma necessariamente ricompreso in quel contesto che racchiude le opportunità e gli strumenti di intervento. Per queste ragioni, e per tutte le nuove competenze attribuite ai comuni, che prescindendo dalle dimensioni sono divenuti il primo e più significativo momento di aggregazione politica e sociale di una comunità locale si rileva il bisogno di sindaci e amministratori all’altezza del compito.
In questa ottica la proposta di istituire una scuola regionale per pubblici amministratori: una struttura permanente di formazione e supporto per affrontare al meglio la sfida dello sviluppo economico e sociale di un territorio.
La lunga relazione può sintetizzarsi in tre proposte alla Giunta e al Consiglio Regionale (massima assise rappresentativa territoriale):
- Legge regionale per i piccoli comuni.
- Istituzione di un assessorato regionale alle politiche di coesione ed ai piccoli comuni.
- Istituzione di una scuola permanente per pubblici amministartori.
È questa la nostra ricetta per la salvaguardia e la valorizzazione del nostro secolare patrimonio culturale, paesaggistico ed ambientale per l’emancipazione dei nostri cittadini e per il futuro della nostra terra.
Dott. Nicola Valluzzi